“Il mio anno a Oxford— My Oxford Year” è un film del 2025, una commedia romantica-drammatica americana diretta da Iain Morris e ispirata al romanzo omonimo di Julia Whelan.
Anna (mia omonima, ma ogni possibilità di identificazione finisce qui, interpretata da Sofia Carson) corona il suo sogno da bambina nello studiare un anno a Oxford prima di intraprendere il ruolo di analista finanziario da Goldman Sachs.
E già qui non è chiaro perché Goldman Sachs dovrebbe volere che lei facesse un anno ad Oxford a studiare poesia. Glielo pagano loro? Serve un’analista poetessa? Perché se no la assumerebbero dopo un anno e non subito? Nessuno di questi interrogativi trova risposta.
Ma ehi, chi se ne frega, perché la nostra bellissima, pettinatissima, truccatissima eroina arriva ad Oxford con delle scarpe appunto Oxford che l’immancabile amico gay odierá e subito si mette con il figo dell’università (Corey Mylchreest), playboy rubacuori con macchina sportiva con cui prima si scambia dispetti ma poi anche una rovente storia d’amore al culmine di cui lui, dall’alto del suo castello di famiglia, le insegna a non inseguire sogni vacui come uno stipendio tutti i mesi ma vivere in modo deliberato come faceva Thoreau.
Alla fine, da commedia che non fa mai ridere si vira verso la tragedia del male incurabile, soprattutto perché, insegna il film, è meglio andarsene in bellezza senza lottare piuttosto che cercare di guarire dal cancro come tutti gli altri poveri stronzi che invece vogliono curarsi.
In tutto questo la nostra eroina è sempre pettinata e vestita in modo improbabile che immagino sia lo stile college nella testa della costumista.
Fa un sacco di smorfiette e faccette sapute in stile Emily in Paris, come quando dimostra che lei è “forte, tosta, indipendente” insegnando il sarcasmo a un inglese che la accusa di essere, lei di origine argentino-cubana, una “diversity hire” (solo un’americana potrebbe percepirsi di una “razza” diversa solo perché ha i capelli scuri) e tiene testa al suo bello con una serie di battute che non fanno ridere in cui ne esce sempre vincente, da vera yankee.
Consigliato a chi vuole vedere una versione stereotipata dell’Europa , tipo Emily in Paris in salsa strappalacrime.
Sconsigliato a chiunque abbia messo mai piede in Inghilterra.

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