Come ogni anno, negli scorsi giorni abbiamo visitato il Salone Internazionale del Libro di Torino (quello che fino a qualche anno fa si chiamava, più umilmente, Fiera del Libro).
Andare alla Fiera/Salone del libro per noi è una tradizione familiare; nostra mamma ci portava da quando eravamo piccole, e in questo modo abbiamo avuto l’occasione di vedere come l’evento è cambiato nel corso degli anni.
Negli anni ’90, il Salone era un evento dedicato quasi esclusivamente al mondo dell’editoria, e frequentato principalmente dagli addetti ai lavori.
Le conferenze e gli incontri erano più specializzati e vedevano la partecipazione di chi lavorava effettivamente nel settore.
Nonostante ci sia sempre piaciuto e affascinato essere circondate da libri, per due bambine delle elementari a volte poteva essere un po’ noioso e impegnativo nel suo essere concepito in modo così specifico. Nostra mamma era pubblicista (lo è tutt’ora), scrittrice e direttrice di una rivista, per cui la fiera aveva lo scopo di metterla in contatto con editori (in carne e ossa!) e con colleghi del mondo della editoria.
Negli anni la natura dell’evento è profondamente mutata, rendendolo un fenomeno di massa e più orientato al lettore in quanto tale: non mancano gli incontri e i laboratori per i più giovani, ma ora, ironicamente, che ci farebbe piacere l’altra parte, sono spariti gli addetti ai lavori delle grandi case editrici, che forse si presentano solo in incognito per stringere mani e offrire caffé a persone che già conoscono, ma non garantiscono più la loro presenza agli stand.
Ora assistiamo ad una netta divisione tra i padiglioni:
1) Gli stand istituzionali di Regioni, RAI, Carabinieri, ecc… Qui vengono organizzati incontri e conferenze, interviste a eventuali VIP e promozione territoriale. Qui vengono anche figure importanti, ma spesso la coda è così lunga che si rischia di stare in fila per ore, perdersi il resto del salone e comunque non riuscire ad entrare –> spesso non c’entra niente con l’editoria
2) Le grandi CE (Mondadori, Giunti, Garzanti, Fanucci, ecc): sono dei mega store, enormi negozi pieni di libri talvolta (non spesso, per la verità) scontati a prezzo fiera. Non aspettatevi di incontrare qualcuno che vi parli del piano editoriale, del modo per contattarli come aspiranti scrittori, editor, illustratori e simili, perché tanto ci sono solo commessi che al massimo potranno indirizzarvi al sito web ufficiale.
Non fraintendeteci, sono bellissimi, accattivanti e ricchi di proposte che in una libreria normale spesso passano inosservate, ma questo rimangono: librerie molto grandi.
3)Le piccole CE e le associazioni dei Selfer: qui il discorso cambia e forse sono il vero elemento che distingue il Salone del Libro dai megastore. Qui potete trovare effettivamente gli addetti ai lavori, gli scrittori, gli illustratori e tutte le persone che mettono mano attivamente ai prodotti editoriali. Certo, dovrete fare molta attenzione perché alcuni stand sono piccoli e sfuggono all’occhio, ma vale la pena dedicare loro qualche minuto del vostro tempo (anche perché sono tipo gli unici a fare gli sconti fiera e perché sono quelli che magari non trovate nella libreria sotto casa).
In conclusione, nonostante ogni anno usciamo dal Salone con una sindrome di Stendhal e una successiva depressione, vale sempre la pena andare a fare un salto e scoprire magari una chicca nascosta.
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