“Fuoco e Sangue” è un romanzo scritto in forma di saggio che narra la storia di Westeros dalla conquista dei Sette Regni da parte di Aegon il conquistatore fino alla reggenza di Aegon III, passando per il sanguinoso periodo conosciuto come la “Danza dei Draghi” cioè una guerra civile fratricida per la successione al Trono di Spade.
Si tratta del primo volume di due: il secondo però probabilmente sarà scritto dopo che l’autore avrà terminato i due volumi rimanenti delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, quindi campa cavallo.
Un po’ come Manzoni nei Promessi Sposi, Martin finge di trascrivere un manoscritto dell’arcimaestro Gyldayn, il quale a sua volte attinge a resoconti dell’epoca narrata.
Il risultato è un libro davvero inconsueto: se ormai anche il più infimo corso di scrittura creativa insiste sull’importanza dello “show, don’t tell” (cioè il principio per cui le informazioni devono essere mostrate al lettore in modo che possa trarre le proprie conclusioni, anziché trasmesse pedissequamente), Martin tira fuori un libro dove nulla è mostrato, ma tutto è riportato da fonti terze. Le vicende sono narrate come in un libro storico, con appena qualche dialogo qua e là.
Come nei volumi delle Cronache, ritroviamo una grande quantità di complotti, stupri, tradimenti, ribellioni, stupri (ovviamente), battaglie, incesti, mutilazioni, nonché (avete indovinato) stupri, e così via; ci sono tantissimi personaggi di almeno una cinquantina di casate minori, e in più i protagonisti, cioè i membri della famiglia Targaryen, si sposano tra fratelli, cugini, zii, nipoti e come se non bastasse hanno tutti nomi molto simili (infatti nel giro di pochi capitoli incontriamo: almeno cinque o sei Aegon, Aemond, Aenys, Rhaenys, Rhaena, Rhaenyra, Jaeherys, Jaehaera, Jaecaerys, Baelon, Baelor, Baela etc).
Insomma, è davvero difficile raccapezzarcisi, e ammetto che dopo un po’ ho semplicemente smesso di ricordarmi esattamente chi e come fosse imparentato con chi e ho cercato di tenere a mente solo il minimo indispensabile (cioè le parentele tra i personaggi viventi in quel momento).
Con queste premesse è facile pensare che il libro sia una noia mortale e in certi punti effettivamente lo è: tuttavia Martin si conferma ancora una volta come un grande narratore e inventore di trame, in quanto alla fine rimani stranamente avvinto dalle vicende granguignolesche, per quanto raccontante un po’ per sommi capi.
L’unico aspetto in cui l’autore entra sempre in un livello di dettaglio francamente sproporzionato rispetto al resto e che ho trovato disturbante sono le violenze sessuali: se la morte di migliaia di popolani viene liquidata con un semplice “la popolazione venne passata a fil di spada” o “l’epidemia falciò gran parte della città”, queste sono riportate in modo dovizioso, anche quando si tratta solo di progetti o di farraginose minacce, o persino quando poi l’autore stesso (l’arcimaestro Gyldayn) fa notare che questi resoconti non siano credibili… allora perché dedicare loro così tanto spazio? Evidentemente l’autore, quello vero cioé Martin, o si diverte a idearle, oppure pensa che piacciano al lettore. Entrambe le ipotesi sono ugualmente disgustose.
In conclusione, nonostante sia un libro evidentemente rivolto agli appassionati delle Cronache e risulti illeggibile per un lettore casuale, Martin riesce a dimostrare il suo talento di scrittore e di una vena creativa praticamente inesauribile per quanto riguarda mondi, dinastie e personaggi, la cui personalità riesce a emergere persino in una forma letteraria così insolita.
Un ultimo appello: George, ok, è tutto molto bello e sei davvero bravo ma… adesso “esci” The Winds of Winter.
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