Recensione di “Limbo: l’industria del salvataggio” e “La fabbrica degli umani” di Eretica Whitebread.

“Limbo: l’industria del salvataggio” e “La fabbrica degli umani” sono due romanzi distopici scritti e pubblicati da Eretica Whitebread, blogger, giornalista indipendente e attivista, nonché collaboratrice de “Il Fatto Quotidiano”.
In “Limbo”, la società è dominata dalla potente organizzazione umanitaria “Save the Woman”, che, grazie all’appoggio di una polizia privata chiamata “Caschi Rosa”, si occupa di proteggere le donne dall’innata violenza maschile, portando le vittime in speciali strutture e condannando i carnefici a pene esemplari e sempre più severe (in primis la reclusione in forma di congelamento). Questo sembrerebbe costituire un miglioramento della condizione femminile, ma quando la protagonista Erèsia viene aggredita da alcuni poliziotti apprende che l’organizzazione non ha così a cuore il benessere delle donne. Lei viene infatti condannata per la diffamazione degli ufficiali e rinchiusa in una kafkiana cittadella dove deve venire riabilitata; all’interno di essa scopre che molte persone sono rinchiuse per i “crimini” più disparati, dall’aver accettato di portare avanti una gestazione per altri o per aver espresso la propria identità transgender, e in generale per non essere conformi alla rigida visione di Save the Women che vede tutte le donne come fragili creature dedite alla procreazione e alla cura, che per il loro bene devono essere guidate e indirizzate al loro naturale destino.

Grazie all’aiuto di altri prigionieri e prigioniere dissidenti, Erèsia si troverà a ricoprire un ruolo sempre più attivo nella resistenza e in un tentativo di rovesciare lo strapotere di Save The Women.
“La fabbrica degli umani” invece narra la vicenda di Marij, che vive e lavora all’interno di una totalitaria Fabbrica completamente separata dal mondo esterno: qui uomini e donne sono divisi in “inseminatori” e “produttrici”, atti alla procreazione di bambini (“prodotti”) che vengono poi destinati a occupazioni di varia utilità. I concepimenti avvengono in modo sterile e artificiale e tra gli individui, il cui stato d’animo viene controllato tramite farmaci e periodici lavaggi del cervello, vige il divieto assoluto di contatto fisico, il cui desiderio è associato a una malattia.

Inizialmente Marij è una produttrice modello in una vita che percepisce come utile e serena, ma l’incontro con la produttrice ribelle Feminoska e l’accidentale contatto con lei smuovono tutte le sue certezze. Guidata dall’incomprensibile desiderio di proteggerla, Marij viene coinvolta nella resistenza interna alla Fabbrica, e mentre parallelamente la sua carriera e le sue responsabilità progrediscono, scopre che il mondo in cui vive non è quello che ha creduto fino a quel momento.

Entrambi i romanzi hanno un finale aperto, che presagisce a un seguito o forse soltanto dà al lettore l’idea che nessuna lotta per la libertà sia mai veramente conclusa.

Sia “Limbo” che “La fabbrica degli umani” sono ambientati in futuri non troppo lontani, caratterizzati da un capitalismo portato alla sua estrema espressione, dove tutti gli ambiti della vita quotidiana sono improntati a una logica di profitto e sfruttamento.

Si tratta di romanzi brevi, di circa centocinquanta pagine, eppure densi di avvenimenti e personaggi: gli eventi della trama si susseguono in modo serrato e le ambientazioni sono più suggerite che rappresentate.

Il linguaggio utilizzato è spesso crudo, privo di eufemismi o delicate perifrasi, come a voler mettere il lettore davanti alla nuda verità della narrazione.

Nonostante gli scenari raccontati ricordino gli universi de “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood o “The Giver” di Lois Lowry (in particolare, per quanto riguarda “La fabbrica degli umani” il quarto volume della serie, “Il figlio”), credo che sarebbe un errore voler leggere questi libri come romanzi di fantascienza, o come prodotto di intrattenimento, in quanto le loro caratteristiche ricalcano più da vicino i pamphlet politici o persino la satira menippea.

I personaggi, che spesso hanno dei nomi “parlanti” (Erèsia, Feminoska etc), sono delle allegorie di determinate situazioni politiche e sociali, ed il loro ruolo, più che di creazione di un individuo specifico, è quello di rappresentare alcune categorie: quindi incontriamo Tomas/Antonia, il trans che Save The Women vuole costringere a abbracciare la propria “naturale” identità femminile, l’ambiguo Direttore della Fabbrica, che vuole comprare il silenzio con promozioni e strategici insabbiamenti, l’apparentemente rassicurante Ginevra, volto immagine di Save the Women, e così via.

Sono principalmente storie che, attraverso l’estremizzazione, portano alla luce i rischi insiti nei pregiudizi, nel paternalismo, nel sessismo anche benevolo, a cui si unisce un’aspra critica all’economia neoliberista e alle privatizzazioni selvagge.

Al centro della narrazione c’è sempre la lotta per l’autodeterminazione che avviene principalmente sul corpo delle donne: corpi che devono essere utilizzati, sfruttati, ingabbiati, che sono rivoluzionari e dissidenti per il solo fatto di esistere e non poter essere eliminati, pena la fine della specie.

“Limbo” e “La fabbrica degli umani” sono letture forti, dure, che consiglio a chi voglia approfondire il tema della violenza di genere e del femminismo intersezionale, o a chi voglia decostruire alcuni pregiudizi interiorizzati e dati per scontati da una gran fetta della società.

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