“The Mister” è il nuovo romanzo della scrittrice E. L. James, arrivata alla fama grazie alla trilogia di “50 sfumature di grigio”, serie che ha polverizzato tutti i record di acquisto di libri, battendo persino Harry Potter e la Bibbia.
Questo libro rappresenta il suo ritorno in libreria dopo aver lasciato da parte (per sempre, si spera) le avventura del miliardario Christian Grey e della sua amata, Anastasia Steele.
Non fingerò nemmeno che questa sia una recensione: prevedibilmente, il libro è terribile, ma, se la trilogia precedente è indicativa, è probabile che se ne sentirà parlare parecchio, quindi mi sono sacrificata per voi e l’ho letto, così potrete semplicemente spulciare questo articolo per sapere cosa vi aspetta.
Spoiler a profusione, ovviamente.
Purtroppo, il “Mister” del titolo non è, come io invece immaginavo, un allenatore di calcio, bensì un conte inglese di nome Maxim Trevelyan (nome che ad ogni ricorrenza la mia mente ha automaticamente corretto in Targaryen, forse in un disperato tentativo di rendere la lettura più interessante), che ha appena ereditato il titolo dopo la morte (accidentale, ma con l’ombra del sospetto di un suicidio) del fratello Kit.
È anche un fotografo/compositore/DJ/modello (non sto scherzando, davvero si definisce così), con una pessima concezione del rispetto delle donne e una strana tendenza a scambiarsi cenni d’intesa col proprio pene.
Dopo una vita dissoluta a base di alcol, tirate di coca e conquiste di donne che lui, con molta eleganza, definisce “scopate senza nome”, si innamora della propria donna delle pulizie, l’immigrata irregolare albanese Alessia Demachi, scappata da un padre abusivo che l’ha promessa in sposa/venduta a un ricco gangster e scappata per un soffio da rapitori della tratta delle bianche.
Alessia è, ovviamente, bellissima, magrissima (si nutre infatti solo dopo ripetute esortazioni), virtuosa di pianoforte e con la capacità di visualizzare la musica come colori, genio degli scacchi, talmente povera da non potersi permettere neanche dei calzini e tassativamente vergine.
Quando i due rapitori si presentano a casa di Maxim per recuperare la fuggitiva Alessia, questi la salva, e, avendo capito che lei è completamente sola in un paese straniero, senza soldi o permesso di soggiorno o possibilità di rivolgersi alle autorità, da vero cavaliere la porta in un posto sperduto in Cornovaglia e, rispettoso del suo delicato stato mentale post-traumatico, aspetta ben ventiquattro ore prima di trombarsela.
Preciso che, a differenza della trilogia delle 50 sfumature di vari colori, qui nessuno si mena (almeno, non ai fini dell’amplesso), lo fanno in modo tradizionale, o “vaniglia”, come la stessa James ci ha insegnato.
Dopo pagine e pagine e pagine in cui i protagonisti si accoppiano a cicli regolari sul letto, in cucina, in piedi e poi (eee, macarena!) da dietro, il loro idillio viene sconvolto dall’arrivo prima dei malviventi già visti a Londra e poi, una volta sventata questa minaccia, del promesso sposo di Alessia, il violento Anatoli, che la rapisce (turna!) per riportarla in Albania dalla famiglia e costringerla a sposarlo.
Ma il nostro eroico Maxim prende un aereo e raggiunge la città natale della sua bella: qui c’è un alterco contorto e francamente inutile in cui dapprima Alessia dice di essere incinta di Maxim, poi Anatoli prova a sparare a tutti e infine il padre di lei (che, sì, l’ha picchiata e venduta allo Scarface balcanico ma “si capisce che la ama profondamente”) insegue Maxim con la lupara per obbligarlo a sposarla, cosa che comunque lui voleva già fare, infatti aveva già in tasca il brillocco. Lieto fine, commozione, titoli di coda.
Il romanzo affronta temi delicati e controversi come la schiavitù e la prostituzione forzata, anche di minori, il problema delle condizioni di vita delle immigrate irregolari, le organizzazioni mafiose internazionali, i retaggi culturali misogini, il lutto per la scomparsa di una persona cara, il sospetto del suicidio, le conseguenze di una maternità anaffettiva, il tutto la stessa assoluta mancanza di delicatezza o anche solo vaga cognizione di causa.
Tutti questi eventi sono soltanto dei simpatici stratagemmi utilizzati per far avvicinare i protagonisti e dare un tocco un po’ torbido alla loro vicenda.
Non fatemi neanche iniziare con la xenofobia e il razzismo con cui vengono dipinti gli albanesi: a parte gli uomini che sono tutti dei violenti trogloditi, la stessa Alessia è ripetutamente infantilizzata, in modo anche abbastanza incoerente. Parla inglese molto bene (doveva fare l’insegnante) ma alle volte non conosce delle parole semplicissime, come smartphone, conosce le abitudini di vita americane perché a casa sua hanno “Netflix e HBO” ma, pur potendosi permettere studi universitari, abbonamenti a pay tv e, si desume, lezioni di piano a livello concertistico, non ha mai avuto abbastanza soldi per fare un’ora e venti di macchina (ho controllato su Google Maps) per vedere il mare una volta nella vita.
L’autrice ha presentato questo romanzo come una “moderna Cenerentola” e si intuisce che per lei la situazione dovrebbe essere in qualche modo invidiabile, ma non si capisce in cosa: Maxim è palesemente un cretino incapace anche solo di mettere i vestiti usati nel cestino della biancheria sporca, pensa soltanto al sesso e, anche nei momenti in cui Alessia esprime disagio per gli avvenimenti orribili che ha dovuto subire, lui non fa altro che riflettere su quanto è desiderabile e quanto debba ancora aspettare prima che sia accettabile portarla a letto.
Per esempio, lei si sveglia urlando, in preda agli incubi, perché sta rivivendo il momento in cui è stata chiusa nel retro di un camion, con altre venti ragazze e un sacchetto sulla testa per passare la frontiera, e lui considera che “ovviamente, avrebbe voluto farla urlare in modo diverso”. Wow, che classe. L’aristocrazia inglese al suo meglio.
Ogni tanto è un po’ triste per il fratello morto, che poi non si capisce se si sia suicidato o meno perché ad un certo punto lui se ne dimentica e bon.
L’unico pregio che ha, in pratica, sono i soldi.
Alessia, dal canto suo, è il personaggio meno credibile che abbia mai letto, un’accozzaglia di caratteristiche contraddittorie tra loro che, nella mente della James, dovrebbero dipingere la donna ideale, che apparentemente è una che passa dall’essere segregata in casa, all’essere segregata in un camion, all’essere segregata (ma questa volta è una circostanza auspicabile) nella superlussuosa residenza del fidanzato. E poi è così semplice, grata, priva di pretese! Tipo, lui mette su un uovo sodo e lei si sdilinquisce tutta, perché secondo la sua educazione è già incredibile che non la meni e la schiavizzi.
Viene ripetutamente messa in contrasto, nei pensieri del protagonista, a tutte le altre, troppo disinibite e sguaiate, in particolare la cognata/miglior amica/amante Caroline (che per qualche motivo incomprensibile agli occhi del lettore continua a tampinarlo).
Anche le eccezionali capacità di Alessia, in realtà, sono assolutamente inutili ai fini della trama o della definizione del personaggio: servono soltanto a renderla più desiderabile agli occhi del protagonista e Non Come Le Altre™.
Cent’anni di femminismo buttati nel cesso.
Dovendo proprio trovarci un pregio, devo ammettere che, rispetto alla celeberrima trilogia precedente, la James ha posto molta attenzione nell’evidenziare che ad ogni rapporto viene dato un consenso esplicito ed entusiastico, e che lui mette sempre il preservativo senza fare storie quindi… yay, immagino?
In conclusione, questo è quello che vi aspetta se vorrete intraprendere questa lettura. Immagino di poterlo solo consigliare a chi, per qualsiasi ragione, trova interessanti o desiderabili i rapporti con un potere tra le parti molto sbilanciato.
Tutti gli altri procedano a proprio rischio e pericolo.
Fonte immagine: libri.mondadori.it
😱😱 Questo libro sembra terribile.
E.L James dovrebbe stare molto lontana da argomenti così delicati se li usa solo come espediente per avvicinare i protagonisti.
Che disagio!
“e una strana tendenza a scambiarsi cenni d’intesa col proprio pene.” – – – > Ma come?! Ahahha sto ridendo un sacco 🤣🤣
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