Recensione di “The priory of the Orange Tree” di Samantha Shannon

“The priory of the Orange Tree” è un romanzo fantasy di Samantha Shannon, non ancora uscito in Italia, ma per cui la Mondadori ha già acquistato i diritti; per ora, l’uscita della versione italiana è prevista per fine anno.

Il mondo in cui si svolge la vicenda è separato tra Ovest e Est: da una parte ci sono diversi paesi sotto l’egida del potente regno di Inys, governato da mille anni dalla casata di Berethnet e unito dalla fede nella religione delle Virtù, ispirata al codice cavalleresco; ad Est invece vengono adorati i draghi, cosa che è percepita come eretica dagli abitanti dell’Ovest.
Questa divisione e tutte le incomprensioni che ne derivano traggono origine dal fatto che i draghi che vivono nell’Est sono creature d’acqua, sagge e benevole, mentre quelli dell’Ovest sono mostri di fuoco, violenti e malvagi, che mirano a dominare l’umanità.
Mille anni prima, l’antenato di Sabran era riuscito a esiliare il terribile drago Innominato (“the Nameless One”) nell’abisso che divide i mari tra Ovest e Est, ma ora diversi segni suggeriscono il suo imminente ritorno.
La storia viene raccontata attraverso gli occhi di quattro narratori: ad Est, Tané, un’apprendista pronta a tutto per coronare il proprio sogno di cavalcare un drago e Niclays Roos, un alchimista esiliato per aver fallito la sua promessa di consegnare alla regina Sabran Berethnet un elisir di immortalità; nell’Ovest Ead Duryan, dama di compagnia di Sabran che vigila sulla sovrana per conto di una misteriosa organizzazione di maghe e sir Arteloth Beck, amico fraterno della sovrana che viene mandato in una missione molto pericolosa per allontanarlo dalla corte.

La trama è molto complicata, ricca di intrighi, viaggi e colpi di scena che soddisferanno i fan esuli di George R.R. Martin: come il creatore de “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, anche la Shannon riesce a creare un mondo complesso e sfaccettato, ricco di diverse culture e mitologie.
Le vicende si esauriscono in un unico libro, di ben 800 pagine circa.
Le ambientazioni sono ispirate a diversi luoghi e alle loro rispettive mitologie, dai poemi cavallereschi, al Giappone medievale, ai miti africani.
Anche il linguaggio dell’opera presenta moltissimi termini ricercati o desueti, che contribuiscono a immergere il lettore in un mondo a sé stante.
Una menzione particolare va ai personaggi femminili: nonostante il mondo sia vagamente medievaleggiante e ispirato a un lontano passato, nella narrazione non c’è traccia di discriminazione di genere.
Inys è dichiaratamente un matriarcato, così come il Priorato del titolo; in tutti i regni non c’è differenza tra ruoli maschili o femminili, quindi si trovano una grande varietà di personaggi che possono ricoprire ogni ruolo (da pirata, a reggente, a medico, a cavaliere) indipendentemente dal loro genere, ed il tutto risulta realistico e privo di forzature.
Questo è stato un aspetto del world-building che ho apprezzato particolarmente.
Non tutti i personaggi hanno una storia d’amore ma, quando è presente la componente romance, questa è sempre trattata in modo inaspettato e delicato, con avvicinamenti credibili anche tra personaggi che appaiono incompatibili, oppure con ricordi malinconici di un amore perduto che continua ad avere ripercussioni sul presente. Sono presenti diversi personaggi LGBTQ+.
Proprio a voler trovare un difetto, nell’ultima parte il romanzo accelera vertiginosamente il ritmo: se i personaggi ci mettevano più di metà del libro a compiere un viaggio nella prima parte, alla fine gli spostamenti avvengono in poche righe e molte morti di personaggi importanti sembrano perdere di incisività. Allo stesso tempo, la mole del libro giustifica una progressione più serrata.

In conclusione, consiglio questo romanzo a tutti coloro che cercano un fantasy dall’impostazione classica e dall’ambientazione memorabile, ma con personaggi moderni e ben caratterizzati.
Personalmente, non vedo l’ora di leggere gli altri romanzi dell’autrice!

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