“L’altra metà del male” è il terzo e conclusivo romanzo della saga della Curatrice, scritta e prodotta da Laura Usai.
Vi avevamo già parlato del primo volume (Il segreto della curatrice) e del secondo (La donna senza nome).
Ho atteso tanto questo romanzo e ho dovuto prendermi del tempo prima di leggerlo, per essere sicura di gustarmelo al meglio: non sono rimasta delusa.
In questo volume, troviamo Gwen che cerca di trovare una soluzione al potere assassino della sorella Maryon, che, tuttavia, nutre grande risentimento verso il mondo e che quindi fatica ad essere aiutata. Judith, dopo gli eventi de La donna senza nome, è in una sindrome da stress post traumatico e lotta per ritrovare la stabilità.
Le cose si complicano con il ritorno di personaggi dal passato, in particolare Caroline Dixon e Thomas Barrow (quest’ultimo non so se fosse un voluto omaggio a Downton Abbey, ma ho apprezzato il nome), che mineranno il già fragilissimo equilibrio tra le sorelle.
Era difficile dare una conclusione adeguata a due primi volumi stupendi, ma qui l’autrice ha unito tutte le linee narrative. Ho trovato che ci fosse qualcosa di Fichtiano nella trilogia, cioè l’idea di tesi (Primo libro: Gwen- cura), antitesi (Secondo libro: Maryon- morte) e sintesi (terzo libro), cosa che ho apprezzato immensamente.
La storia scorre veloce, complice uno stile pulito e piacevole, senza punti morti; il romanzo è più lungo dei precedenti, ma non per questo non lo divorete in poco tempo.
Forse rispetto ai precedenti l’elemento fantasy è più presente, ma resta un punto minore, chi la fa da padrone sono i personaggi e le loro caratterizzazioni. Ho trovato proprio in questo aspetto una forte femminilità: c’è collaborazione, dialogo, attenzione verso i sentimenti e le intenzioni, volontà di comprendersi. Soprattutto mai e poi mai trova posto l’aggressività o la prevaricazione; per carità, ci sono meschinità e morte, ma non vi è mai un’esasperazione di questo e i personaggi trovano il modo di capirsi, magari anche senza accettarsi. Devo dire che questo aspetto, dopo mille mila fantasy cupi e oscuri dove tutti “venderebbero la madre per ottenere ciò che vogliono”, l’ho trovato meraviglioso, bello da leggere. Non è apparso meno realistico di altri libri, ma mi ha lasciato un senso di pace addosso, vera e propria soddisfazione.
Judith è il personaggio meno coinvolto nell’azione principale, ma è rimasta comunque la mia preferita. Ho apprezzato vedere il suo trauma psicologico, la difficoltà di accettarlo e di poterne parlare con gli altri; anche la sua storia d’amore con Edgar, che è tutt’altro che perfetto o stereotipato, mi ha convinto molto. L’ho trovata vera e delicata.
Maryon è il personaggio che vediamo crescere maggiormente, mentre Gwen sembra lasciare più spazio alle altre; anche nella narrazione si vede il potere dei personaggi, la sorella che porta morte si rafforza, mentre l’altra si indebolisce; tuttavia, nulla è come sembra.
In conclusione, una saga che mi è piaciuta davvero tantissimo, sicuramente una delle più belle che ho letto di emergenti italiani. Se mi chiedono una brava autrice self consiglio sempre Laura Usai e questo volume conclusivo me ne ha dato un ulteriore motivo.

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