“Don Matteo” è una serie tv italiana investigativa, prodotta dalla Lux Vide e trasmessa a partire dal 2000 su Rai 1. Attualmente è disponibile su Rai Play, le repliche sono su Rai Premium e le nuove stagioni vanno in onda su Rai Uno.
La storia segue le vicende di Don Matteo (Terence Hill), parroco della Chiesa di San Giovanni di Gubbio (Umbria), che, grazie alle sue eccezionali doti investigative, aiuterà i Carabinieri, capitanati da Flavio Anceschi (Flavio Insinna) e con il maresciallo Cecchini (Nino Frassica), a risolvere i casi di omicidio della piccola città. Accanto a lui la perpetua Natalina (Nathalie Guetta) e il sacrestano Pippo (Francesco Scali), nonché diversi bambini e ragazzi che nel corso delle stagioni saranno ospitati in canonica, in particolare il piccolo Nerino (Claudio Ricci).
La serie ha avuto un incredibile successo tanto da essere una delle più seguite e delle più longeve in Italia, ma non solo: è stata esportata all’estero ed è addirittura diventata un format riscritto per altri Paesi (ad esempio la Polonia). A partire dalla nona stagione, le vicende si spostano nella cittadina umbra di Spoleto e già dalla quinta cambia il capitano per lasciare il posto a Giulio Tommasi (Simone Montedoro), che a sua volta lascerà il posto nella undicesima stagione ad Anna Olivieri (Maria Chiara Giannetta).
Inizio subito col dire che io ho adorato le prime quattro stagioni di Don Matteo: me le sono guardate, riguardate, ho fatto il tifo e ho cercato di immaginare i colpevoli. Ho avuto una cotta per Flavio Anceschi, ho passato intere ore a chiedermi quanto potesse essere ancora bello Terence Hill e ho apprezzato la regia, la trama, ma soprattutto Gubbio. Di Gubbio mi sono proprio innamorata durante la serie, tanto che sono andata a visitarla già due volte e credo ritornerò perché è una città magica e speciale.
I casi da risolvere non erano mai banali, non scontati, e serviva il lavoro incrociato della scientifica, dei Carabinieri e dell’intuito di Don Matteo per risolverli. La serie era così ben fatta che quasi non si faceva caso al fatto che una cittadina piccola come Gubbio avesse il numero di omicidi di Caracas.
Dalla quinta stagione assistiamo a un declino sotto tutti i punti di vista qualitativi. Tanto per cominciare, il sessismo: da quel momento in avanti i personaggi femminili sono scritti malissimo, capricciosi e sciocchi, mossi dalla superficialità e dall’egoismo. La peggior morale fa capolino con puntate agghiaccianti in cui il marito picchia la moglie ma solo perché è agitato, poi Don Matteo ci parla e tutto torna come prima: un po’ di botte ci stavano, tutto ok. Non solo: le violenze sessuali diventano inventate dalle donne per distruggere gli uomini, balle che non devono essere prese sul serio.
Ultimo, ma non meno importante, arriva quella che Boris aveva già descritto precisamente: la linea comica.
Il povero maresciallo Cecchini, che fino a quel momento era stato un personaggio simpatico ma con una sua intelligenza e dignità, qui diventa una macchietta. Ignorante, sessista, inutile e fannullone, rappresenta l’italiano medio più becero che con qualche frase buonista si riscatta e che dovrebbe fare ridere.
Dalla sesta stagione, con l’arrivo del belloccio Tommasi, i Carabinieri si instupidiscono: non sanno più fare nulla senza Don Matteo se non arrestare il primo sospettato e insistere per i restanti cinquanta minuti che debba essere obbligatoriamente lui l’assassino, mentre il prete cerca pazientemente di spiegare loro perché sbaglino.
Poco importa, a Tommasi non frega nulla dei casi, ma solo della sua complicata vita sentimentale, caratterizzata in tutte le stagioni da triangoli, equivoci, incapacità di parlare chiaro e codardia in ogni situazione di confronto con i genitori o con il gentil sesso.
Il tutto è così ridicolo che ad un certo punto la serie cercherà di riscattarsi da questo teatrino dimostrando che loro non sono sessisti, introducendo un personaggio misogino, un colonnello che odia le donne e non accetta nemmeno che i carabinieri possano sposarsi con questi esseri “inferiori”: il risultato è ridicolo e stucchevole, a tratti imbarazzante.
Anche la colonna sonora cambia: Cecchini, con Nino Frassica diventato ormai un penoso cabarettista, è accompagnato dalla musica da linea comica, che occupa buona parte degli episodi. Il caso della puntata, infatti, viene relegato a pochi minuti di girato, spesso con il colpevole intuibile dopo poco.
La serie abbandona i panni seri e investigativi per lasciare il posto ad una versione più cattolica di “Un posto al sole”, che nemmeno il fascino e la simpatia di Terence Hill riescono a salvare. A me non resta che guardare l’impietoso lavoro di distruzione di un ottimo prodotto e chiedermi “Perché?!”
La risposta è presto detta: il pubblico italiano premia questo cambiamento con risultati incredibili e record di share nella puntata di un matrimonio tra i personaggi, il trionfo della soap sulla serie poliziesca.
In conclusione, una serie che parte splendidamente, un vero gioiellino della produzione italiana, ma che, secondo me, finisce in soap opera. Il confronto delle prime stagioni con le ultime è impietoso: consiglio di guardarlo fino alla quinta e chiudere con l’addio (temporaneo) di Don Matteo. Continuate se state cercando una commedia leggera e romantica, una serie senza pretese né particolare qualità.
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