Perché non mi è piaciuto “Costanza e buoni propositi” di Alessia Gazzola

“Costanza e buoni propositi” è un romanzo romance di Alessia Gazzola, edito da Longanesi nel 2020.

È il secondo volume della serie iniziata con “Questione di Costanza”, che avevamo recensito qui.

Costanza Macallé è un’anatomopatologa siciliana trapiantata a Verona, dove abita con la sorella Antonietta e dove ha trovato lavoro all’Istituto di Paleopatologia; inizialmente poco entusiasta del lavoro che per lei non rappresentava la “vera medicina”, si è con il tempo appassionata alle indagini che la riportano in tempi passati e ai personaggi che popolano l’Istituto.

Nello scorso volume l’abbiamo vista riallacciare i rapporti con Marco, padre naturale e, fino allo scorso libro, inconsapevole dell’esistenza della figlia treenne Flora.

In questo romanzo vediamo Marco approfondire la conoscenza della figlia durante i preparativi del matrimonio con la fidanzata Laura.

Intanto Costanza, ancora innamorata di Marco, indaga sui misteriosi resti di due donne, che potrebbero essere Andreola e Bernarda Visconti, condannate a una fine crudele per aver tradito, rispettivamente, i voti monacali e il marito.

Questo romanzo ha gli stessi punti di forza del primo: la narrazione veloce e avvincente, il sapiente mix di indagine e questioni sentimentali, il giusto livello di dettaglio nella descrizione degli interventi effettuati da Costanza sui reperti, l’ironia garbata sulle vicende quotidiane della protagonista, alcuni personaggi davvero simpatici e memorabili.

In particolare ho apprezzato molto la descrizione di Flora: non è facile rappresentare i bambini così piccoli nei romanzi. Spesso risultano stucchevoli ed esageratamente maturi, oppure privi di personalità; Flora invece è descritta in modo molto autentico, con l’adorabile mix di simpatia e anarchia tipica dei treenni.

Anche la vicenda ambientata nel Medioevo, cioè le vicende dell'”Impostora” che si sostituisce a Bernarda Visconti sono interessanti (per quanto un po’ frustranti: per la serie, mai ‘na gioia) benché quasi completamente scollegati, almeno fino quasi alla fine, dalla vicenda principale.

Purtroppo, tuttavia, gli stessi elementi che mi avevano lasciata interdetta nella lettura del primo volume sono presenti, addirittura amplificati, in questo.

Dico “elementi” per darmi un tono, ma il problema è uno: il love interest Marco è semplicemente insopportabile.

Da qui seguiranno SPOILER a profusione, quindi a chi non volesse rovinarsi la suspence della vicenda amorosa consiglio di interrompere qui la lettura.

Il romanzo si apre con una scena che mi ha fatto accapponare la pelle: Marco e Costanza dall’avvocato, a espletare le pratiche per il riconoscimento di Flora.

Con un classico piglio patriarcale, Marco pretende che le venga dato il suo cognome (peraltro una roba impronunciabile di sapore vagamente nobiliare, che giustamente la bambina non riesce manco a dire) e alla prima occasione richiede l’affido congiunto con un obbligo di pernottamento, inizialmente un week end al mese e poi ad aumentare.

Cioè per tutta la gravidanza e per i tre anni successivi non solo non ha avuto rapporti con la figlia ma addirittura non sapeva dell’esistenza della bambina: da quando è stato contattato, però, non ha praticamente mai fatto altro che accampare pretese. Nello scorso libro ha impedito a Costanza di trasferirsi in Inghilterra a fare il lavoro dei suoi sogni, adesso pretende che una bambina di tre anni che ha sempre avuto la sola madre come figura genitoriale di riferimento vada a passare un week end al mese con quello che, di fatto, per lei è poco più di un perfetto sconosciuto.

Naturalmente essendo un romance nella storia tutto finisce a tarallucci e vino e la bambina è super felice di andare da lui, ma, lo ammetto, ho trovato estremamente fastidiosa questa romanticizzazione di un comportamento che mira al controllo delle donne che Marco ritiene siano “di sua proprietà”.

La cosa peggiore è infatti che la narrazione non presenta questo atteggiamento come problematico, ma anzi Costanza si ripete tra le lacrime “ha ragione, ha ragione” perché si sente “irrazionalmente” rattristata dal senso di perdita per questa condivisione delle decisioni sul futuro della figlia.

Marco viene presentato come l’adulto rassicurante che si prende le sue responsabilità, senza porre come alternativa il fatto che lui possa essere presente nella vita nella figlia senza subito apporci il marchio di proprietà.

Costanza, non farti ingannare, hai ragione TU: pure io piangerei come una fontana se di colpo un tizio che dopo un rapporto a rischio mi ha lasciata sul ciglio di una strada senza preoccuparsi delle conseguenze diventasse co tutore di mia figlia e iniziasse a controllare la mia carriera, la mia vita e tutti i miei spostamenti con lei in virtù del suo diritto alla bigenitorialità.

Nel resto della storia, il nostro “eroe” non è che ne esca tanto meglio: pochi capitoli dopo vieta esplicitamente a un suo amico di provarci con Costanza (che evidentemente considera, anche lei, di sua proprietà) e poi si scopre che persino i suoi colleghi lo considerano un tipo con cui evitare di uscire a causa dei numerosi tradimenti della fidanzata e il comportamento scorretto verso le sue conquiste.

Quando poi mollerà la fidanzata poco prima del matrimonio arriverà a dire che “la tradiva continuamente perché sotto sotto sapeva che non era la persona giusta per lui” (quindi alla fine era colpa di lei? Ah be’, a posto allora!) e, se pensate che non possa diventare ancora più sgradevole, nonostante dica inizialmente a Costanza che la rottura non dipende da lei, quando cercherà di convincerla ad andare a letto con lui le dirà che lui ha lasciato la fidanzata per lei e quindi praticamente lascia intendere che Costanza “glielo deve”.

La cosa che più mi ha lasciato basita è che Costanza non pensa mai “anvedi ‘sto stronzo”, come ci si aspetterebbe, ma anzi questo figuro gretto, mediocre e viscido viene incensato come un eroe ogni volta che esprime quel minimo di correttezza richiesta per far parte del consorzio umano.

Per esempio, lei si intenerisce tutta quando lui gioca con la bambina come se lui fosse il padre dell’anno oppure quando non si rifiuta di vederla, ma Costanza, figlia mia, questo è davvero il minimo sindacale della gentilezza che ci si aspetta tra due persone, neanche amiche ma appena appena in confidenza!

Cioè, se applicassimo questo metro a tutti i personaggi del libro, la ben più gentile e disponibile sorella Antonietta come minimo si meriterebbe il Nobel per la pace.

Ho letto diversi romance dove le figure maschili venivano idealizzate al punto da diventare irrealistiche e persino un po’ noiose. Ci si aspetta che la storia d’amore abbia qualcosa di auspicabile, che faccia sognare, e alle volte si rischia di esagerare con la perfezione, ma questo eccede nel senso opposto: a parte il fatto che Costanza lo trovi fisicamente attraente, Marco non ha davvero alcun pregio riconoscibile. Non è gentile, non sembra avere traccia del minimo senso dell’umorismo, non è nemmeno affidabile (magari una potrebbe dire: sì è un po’ noioso, ma almeno dà sicurezza. No. Manco quello.)

Alla fine lei dice di sentirsi felice, lusingata e persino onorata che lui l’abbia “scelta”: non ho potuto fare a meno di pensare ai pupazzetti alieni di Toy Story che guardavano in aria speranzosi di essere presi dall’Artiglio.

Insomma, cent’anni di femminismo buttati nel cesso.

Costanza, dai retta a me, tu non hai bisogno di un fidanzato, hai bisogno di un bel percorso di terapia per risolvere i tuoi problemi di autostima. Poi sarai tu a scegliere qualcuno che ti piace e che possibilmente sia un po’ meglio di ‘sto cretino qui.

In conclusione, penso che la parte di indagine del romanzo sia davvero avvincente, scorrevole e ben scritta; al contempo però, ammetto che tutto ciò che avesse a che fare con la sottotrama romance mi ha fatta rabbrividire.

Sono curiosa di sapere le impressioni degli altri lettori e, in particolare, delle lettrici.

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