Recensione di “Tutto il bene, tutto il male” di Carola Carulli

“Tutto il bene, tutto il male” è il romanzo d’esordio della giornalista RAI Carola Carulli, pubblicato dalla Salani il 7/10/2021.

In questo romanzo, la protagonista Sveva ripercorre la vita della zia Alma e il suo rapporto con lei.

In una famiglia disfunzionale dove la nonna e la madre sono superficiali e calcolatrici, Sveva trova un’affinità spirituale con Alma, spirito libero e anticonformista.

Il romanzo è incentrato sulla figura di Alma, che vediamo, attraverso flashback e flashforward, dall’infanzia fino alla fine della sua vita; nel frattempo, quasi in sordina, vediamo anche la crescita della protagonista Sveva, abbastanza speculare a quella della zia.

Il libro è molto introspettivo, con riflessioni delle protagoniste sulla maternità e il significato della vita in generale.

Lo stile è suggestivo, con dei momenti di ispirazione poetica.

Sarò sincera, questo genere di romanzo non è proprio nelle mie corde: completamente incentrato sul ritratto di Alma, nella storia vera e propria non succede praticamente nulla.

Alma è una bambina speciale e generosa che fa amicizia coi bidelli e le persone che la sua famiglia normalmente snobba; diventa sceneggiatrice e trova amiche e amici altrettanto speciali e tormentati; il romanzo si apre con l’annuncio della sua gravidanza a Sveva e il lettore immagina che a questo punto il loro rapporto speciale si incrinerà oppure che l’amore per lo sfuggente Tommaso porti qualche conseguenza nella trama. In realtà così non accade: i due neo-genitori continuano ad avere un rapporto speciale e fuori dagli schemi (anche se non si capisce esattamente in cosa) e la loro figlia è una mini-Alma sensibile e artistica che Sveva ama come una sorella minore.

Nel frattempo incontriamo una carrellata di personaggi con cui Sveva e Alma interagiscono una volta e poi non si vedono più.

Non posso dire di avere particolarmente amato il personaggio di Alma: nonostante la narrazione insista molto sulla sua empatia verso le persone più umili, spesso i suoi pensieri non riflettono affatto questo aspetto (ad esempio c’è una lunga riflessione sulla superficialità dei “bagnanti” che si ricordano di andare al mare solo d’estate, ignorando la sua bellezza invernale, dimenticando il piccolo particolare che è ad Agosto che di solito le persone hanno abbastanza ferie da programmare una vacanza).

Quanto a Sveva, l’unica volta in cui emerge come personaggio è quando alla fine affronta il padre assente e fedifrago verso la madre in un lungo monologo: considerato però che il padre stesso era solo stato nominato in un paio di occasioni in tutto il libro, non posso dire di aver trovato questa conclusione molto catartica.

Nel complesso, l’unico personaggio per cui avevo simpatia era la madre Sarah, tragica nella sua facciata dura e giudicante che nascondeva un bisogno insoddisfatto di amore.

In conclusione, consiglio questo libro a chi cerca una riflessione sull’importanza delle figure femminili di riferimento diverse dalle madri, e lo sconsiglio a tutti quelli che amano i libri incentrati più sulla trama che sui personaggi.

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