Recensione di “Wohpe” di Salvatore Sanfilippo

“Wohpe” è un romanzo di fantascienza scritto da Salvatore Sanfilippo e pubblicato da Laurana Editore, che ringrazio per la copia cartacea.

La trama si svolge alla fine del XXI secolo, in un mondo in cui l’intelligenza artificiale regola l’economia e la vita di tutti i giorni, ma solo quella debole; quella forte, invece, è vietata, in quanto si teme il suo poter essere senziente e autonoma. Le cose cambiano però quando la situazione climatica si fa troppo problematica per poter essere risolta dagli esseri umani: serve una mente più analitica, serve la soluzione che solo una super intelligenza artificiale può fornire, e da qui entra in scena “Wohpe”, vale a dire la speranza dell’umanità (World Hope). La storia ci presenterà il progetto, la sua partenza e quello che ne consegue, seguito da due informatici di altissimo livello, Asako e Micheal.

Se dovessi descrivere il libro con una parola questa sarebbe “verosimile”, perché tutto il mondo futuro e i rapporti tra governi, scienza e opinione pubblica sono incredibilmente realistici e potrebbero tranquillamente essere cronaca di un futuro quotidiano. Nonostante la premessa sia di un mondo che è in pericolo, nulla nella narrazione lo qualifica come un romanzo distopico, anzi! Sebbene la situazione climatica sia oltremodo problematica, il mondo in cui l’umanità vive è tutto sommato niente male: non c’è disoccupazione, povertà e la popolazione è aumentata perché le cose vanno bene. C’è la paura per il futuro, per quello che accadrà con l’innalzamento degli oceani, ma, ehi, diciamocelo, le persone e i governi hanno consapevolezza, la tecnologia prospera al servizio del bene comune e si cerca attivamente di migliorare le cose, senza conflitti. Cavolo, va sicuramente meglio che adesso!

Anche i due protagonisti risentono molto del clima positivo: vivono le tensioni in maniera molto soft e, in generale, la loro storia personale e il loro rapporto è ridotto all’osso. Il conflitto non è tema centrale della loro caratterizzazione e, per lo più, sfoggiano le loro abilità e le loro caratteristiche ritenute dalla totalità degli altri personaggi come ottime.

Il wordbuilding, se così si può definire (è pur sempre il nostro mondo), occupa la maggior parte del romanzo, descritto in maniera approfondita fin dall’inizio e, insieme all’elemento informatico, è il punto centrale del libro. Lo scrittore è un informatico di esperienza e questo emerge chiaramente in ogni pagina del romanzo; ho avuto l’impressione che l’enorme struttura che caratterizza Wohpe fosse il solo e vero protagonista del libro e il vero perno della storia.

L’azione è poco presente, in favore di un’analisi costante delle implicazioni di ogni azione. Niente eroi che si salvano da combattimenti impossibili ed esplosioni devastanti, tutto è molto verosimile, come detto in precedenza. In generale, tutto il grosso dell’azione si svolge nelle ultime pagine e io personalmente le ho trovate le più belle.

Il titolo dell’opera non è casuale, tutto nella storia porta a guardare alla speranza: per alcuni è una ricerca, forse addirittura un tiro alla cieca, ma comunque è quello che guida i personaggi ed è il motore dell’azione.

Personalmente, io sono più il genere di lettrice che preferisce più azione e colpi di scena, una fantascienza magari meno precisa e rigorosa ma più adrenalinica; questo è un testo che invece potrà piacere a chi ricerca opere più verosimili e in un certo senso “possibili”, meno character driven.

In conclusione, un romanzo che potrà essere apprezzato al meglio dagli amanti delle ambientazioni futuristiche utopiche, delle conseguenze etiche e ambientali delle nostre azioni e dagli appassionati del scifi tecnologico.

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