Recensione di “Dune” di Frank P. Herbert

“Dune” è uno dei più famosi romanzi di fantascienza nel mondo, vincitore del premio Nebula e del premio Hugo e di tutti i riconoscimenti possibili e immaginabili in questo campo. D’altronde ha avuto tempo, il bestseller di Franck P. Herbert è uscito nel 1965 e ha condizionato tutta la fantascienza da quel momento in avanti, Star Wars, Spielperg e King compresi.

Capite bene che, dopo tutto ciò, approcciarsi ad un mostro sacro di questo livello non è mai facile; oltretutto, si è trattato della mia prima esperienza con gli audiolibri (grazie mille al mio eroe personale, 1119kirdosM, che su Youtube lo ha letto tutto, salvandomi dopo un periodo senza letture dovute a un intervento agli occhi), che rendono, secondo me, ancora più evidente il ritmo di un libro e i suoi eventuali punti morti.

Cominciamo dalla trama: “Dune” è ambientato in un universo complesso con un Impero galattico che governa su molti pianeti abitabili. Dopo che il Duca Leto Atreides inizia a essere considerato una figura amata e giusta, l’Imperatore decide di “farlo fuori” mandandolo sul pianeta Arrakis (un desertico e problematico mondo chiamato Dune), da tempo conteso dal suo nemico storico, il Barone Harkonnen. Il figlio del Duca e di Lady Jessica, una Bene Jesserit (membro cioè di una potente e mistica organizzazione fatta da sole donne), Paul, inizia a sviluppare capacità di preveggenza e sembra essere il prescelto per portare il Paradiso alle genti di Dune, in particolare la popolazione locale, i Fremen, da tempo bistrattati dai precedenti occupanti.

Una volta giunti sul pianeta Arrakis i giochi di potere arrivano al massimo: spezie che garantiscono la ricchezza nella galassia, conquistatori, governanti posti come esche, omicidi, amori e intighi portano questo grosso tomo a presentare un wordbuilding complesso e articolato.

Inizio subito a dire che non si può non apprezzare le molte tematiche e la complessità di questo testo: Herbert per primo crea la space opera e la mette come sfondo per intrighi, giochi di potere e ne fa la scacchiera delle tante figure della sua saga.

Arrakis, in particolare, ne emerge con una passione davvero incredibile: lo ammetto, non mi piace chiamare il pianeta Dune, per quanto sia il titolo del romanzo. Mi sembra di svilirlo e di banalizzarlo, come se lo riducessi ad un semplice deserto: Arrakis è il vero protagonista del libro, con tante sfumature quanto i colori del suo pittoresco tramonto. Riesce al tempo stesso a essere un pianeta terribile (manca l’acqua, è sempre arido, ma proprio sempre, non piove mai e i personaggi devono prendere i liquidi dall’umidità), con enormi vermi e pochezza di cibo e natura, ma anche intensamente ricco, di storia, di persone e di risorse da rivendere (primo tra tutti la spezia). Dovrebbe essere il classico mondo su cui nessuno vuole stare, ma diventa il teatro di ogni vicenda, snodo centrale di una guerra di potere galattica.

Che l’autore lo ami è evidente: non mi stupisce che in molti abbiano voluto fare un film da questo romanzo, perché le descrizioni lo chiamano proprio, sembrano invocare a gran voce una trasposizione in grado di rendere visivo quel tramonto che Herbert ci decanta. I colori, le sensazioni, la mancanza di acqua, tutto viene presentato per essere un film.

Fatte le dovute premesse positive, io non sono riuscita ad amarlo in alcun modo. Si tratta di un libro del 1965 e per me il tempo è passato e si vede. Scelte originali all’epoca ora appaiono datate, persino scontate. Colpi di scena ce ne sarebbero tanti, ma l’autore ha scelto di avere un protagonista con doti di preveggenza che spoilera prima ogni evento. Ok, ho capito che il futuro non lo puoi cambiare e che la previsione è una fregatura, ma almeno un colpo di scena me lo volevi lasciare? Macché, Paul ti racconta sempre prima tutto!

In generale, ho trovato tutto lo stile, già di suo pesante e descrittivo, molto anticipatore.

Esempio tipo: Jessica pensò che fosse una buona idea e che poteva farlo presente. “Penso sia una buona idea,” disse Jessica.

Ripeto, negli anni sessanta andava benissimo, riletto adesso è per me piuttosto pesante.

Personaggi ce ne sono tantissimi, ma in generale ho trovato la divisione tra belli e buoni e brutti e cattivi troppo marcata. Il super cattivo è obeso, sformato, orribile, malvagio e chiaramente omosessuale; i protagonisti sono una rivisitazione evidente di Gesù e la Madonna, bellissimi, intelligenti e tutti non fanno che lodarli per quanto siano incredibili e meravigliosi. Probabilmente c’è chi apprezzerà tantissimo un protagonista così, ma per me era abbastanza stucchevole la sua descrizione agiografica. Oltretutto l’unico uomo addestrato con i poteri tipici delle donne, ma, in quanto maschio, sarà unico e più potente di tutti, praticamente un dio. Ok, tutto molto bello negli anni Sessanta, ma riletto ora il trionfo del patriarcato ai massimi livelli mi fa sbadigliare.

In conclusione, sono contenta di averlo letto (ascoltato). Mi ha arricchito, ho recuperato quello che è davvero un pezzo di storia della fantascienza. Guarderò i film con interesse, gioirò di questa esperienza, ma non posso dire che sia stata divertente.

Lo consiglio assolutamente agli appassionati di fantascienza classica.

3 risposte a "Recensione di “Dune” di Frank P. Herbert"

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